Gianluca Curti – Intervista all’AD di Minerva Pictures e presidente di Cna-Cinema. La situazione del settore – Interris.it (Audio)
18 Maggio 2020Intervista all’amministratore delegato di Minerva Pictures e presidente nazionale di Cna-Cinema. Il racconto di come nasce una professionalità tutta made in Italy
“Da bambino sognavo di fare il pompiere o l’astronauta. Essendo figlio di un produttore e di un’attrice, ho intrapreso la carriera cinematografica. Ho fatto la gavetta, dal gradino più basso: portavo i caffè sul set, svuotavo i cestini. Poi ho acquisito professionalità“. A parlare è Gianluca Curti, amministratore delegato di Minerva Pictures e presidente nazionale di Cna-Cinema. Classe 1963, è produttore cinematografico, sceneggiatore e editore. Inizia l’attività di produttore vincendo nel 1991 il premio del pubblico al Giffoni Film Festival. Nel 2001, in collaborazione con la Andy Warhol Foundation di Roma e con il fratello Stefano Curti, edita l’opera omnia cinematografica del padre della pop art. La sua opera di recupero, restauro e conservazione di varie pellicole del cinema mondiale, ottiene vari riconoscimenti nei festival specializzati del settore.
Interris.it lo ha intervistato in esclusiva.
La pandemia causata dal coronavirus ha creato notevoli difficoltà economiche in molti settori. Come è la situazione in quello cinematografico?
“Sta vivendo una crisi molto grave e profonda. I set dei film e delle serie televisive sono stati fermati la prima settimana di marzo, vorremmo riaprirli ma non riusciamo a trovare una giusta soluzione, un protocollo condiviso tra le parti che possa essere coerente per la sicurezza degli attori, dei lavoratori e delle imprese. Ad oggi, è previsto dall’Inps e dall’Inail che nel caso un membro della troupe, piuttosto che un attore, si dovesse ammalare sul set, la responsabilità oggettiva sarebbe del datore di lavoro, in quanto equiparato ad un incidente sul lavoro e quindi la responsabilità civile e penale ricadrebbe sul produttore. In caso si verifichi un caso di contagio, il produttore dovrebbe mandare tutti in quarantena, continuare a pagare le spese, senza avere un’assicurazione. È difficile in questa fase pensare a una riapertura dei set, chi lo fa si assume dei rischi molto grandi”.
E per quanto riguarda le sale cinematografiche? Come ci si sta muovendo?
“Per quello che riguarda l’esercizio e le sale, stiamo lavorando con le varie associazioni. Abbiamo avuto una conversazione con il Ministro Franceschini e il suo staff: si stanno cercando soluzione alternative come le arene e i cinedrive, una nuova formulazione del vecchio drive-in. Per le sale ci sono due ordini di problemi: primo come sistemare le persone a un metro di distanza, come fare per i nuclei familiari e congiunti. In più, aprire una sala ha un costo di gestione, ma se non c’è il prodotto si rischia di non fare un buon servizio. I film italiani che erano pronti sono usciti sulle piattaforme digitali. Altre pellicole sono ferme in attesa. Questa estate si proverà a riaprire le sale, ma è difficile: se non si vendono sufficienti biglietti, come si fa a pagare i costi? Inoltre, la crisi generale ha fatto diminuire gli investimenti pubblicitari sulle televisioni, sia pubbliche che private, e avendo meno introiti i broadcaster comprano meno film o serie. È tutta un’economia di emergenza, dove le varie aziende stanno cercando di capire come questa fase e si cerca di lavorare sul digitale. Il settore è sotto stress”.
È possibile quantificare la perdita economica?
“Qualche centinaio di milioni di euro. Purtroppo, anche utilizzando il digitale non si hanno ancora gli stessi guadagni. In questi due mesi è come se si fosse fatto un salto in avanti di venti anni. La conoscenza e la frequentazione, la capacità di aggiornare i sistemi, riguardo a questi aspetti, in Italia eravamo molto arretrati rispetto ad altri Paesi. Siamo un po’ risaliti, ma il Belpaese rispetto al digitale è uscito dalle caverne, non ha ancora inventato la ruota, ma ha capito che dovrà farlo. Ciò nonostante, la perdita dei ricavi è stata ingente. ripeto, tra set bloccati, mancate vendite e uscite in sala, parliamo di un danno totale di alcune centinaia di milioni di euro”.
In questi mesi, lo Stato ha fatto abbastanza per tutelare questo settore?
“Il Mibact, per volontà del ministro Franceschini e del suo capo di gabinetto, il dottor Lorenzo Casini, del direttore generale del ministero, il dottor Salvo Anastasi, e il direttore generale Cinema, il dottor Nicola Borrelli, si è lavorato molto intensamente, sono state sbloccate una serie di risorse, sono stati accelerati i meccanismi del tax credit. Pensi che sia stato fatto tutto quello che era umanamente possibile. L’industria deve esserne riconoscente. Poi, essendo uomini, per definizione sono fallibili e perfettibili, però per quella che è la mia esperienza personale e quella dei miei associati in Cna, debbo dire che hanno lavorato molto, hanno sempre chiamato a raccolta le associazioni. Il Mibact, per quello che riguarda il cinema, l’audiovisivo e tutta la filiera, ha fatto e sta facendo veramente molto”.
Se potesse chiedere qualcosa cosa chiederebbe?
“Se fosse possibile, ma mi rendo conto che ci sono altre priorità, un aumento sull’anno 20-21 dei finanziamenti – in parte a fondo perduto e in parte restituibili in cinque o dieci anni – per tutto il settore; chiederei anche i broadcaster, sia delle televisioni pubbliche che private, di avere un approccio ancora più inclusivo e maggiori investimenti. Ogni film che apre dà lavoro a 100-150 persone, il nostro settore come indotto occupa in Italia circa 220mila persone. Nel mondo della cinematografia non ci sono solo le grandi star, ma è composto da una moltitudine di medie, piccole e micro aziende che danno lavoro a tecnici e maestranze”.
Come e quando ha scoperto la passione per questo lavoro?
“Da bambino volevo fare l’astronauta o il pompiere. Iniziai gli studi di giurisprudenza perché avrei voluto fare l’avvocato, ma poi ho iniziato a lavorare. Essendo figlio di un produttore e di un’attrice, avendo anche altri parenti nel mondo dello spettacolo, le velleità di diventare pompiere, astronauta o avvocato si sono fatte da parte e ho iniziato a fare cinema. Come nelle migliori tradizioni, ho fatto la gavetta quella pesante. È stato impegnativo, duro, ma interessante. Negli anni si è formata la professionalità. Abbiamo molti titoli belli che periodicamente restauriamo, come poco tempo fa uno di Bernardo Bertolucci che appartiene a Minerva ed è il conformista. Stiamo restaurando, nonostante le difficoltà legate al covid, l’ultimo capolavoro di Mario Monicelli ‘Speriamo che sia femmina’. Continuiamo a produrre, a curiosare, stiamo lavorando anche sulle piattaforme. Con il mio gruppo stiamo lavorando con molta passione. Quello che non è stato un pompiere o un astronauta, cerca di darsi anima e cuore per il suo team straordinario che è Minerva Pictures”.
Qual è l’aspetto che le piace di più del suo lavoro?
“Il primo è quello di conservare il patrimonio del cinema italiano scovando e restaurando i film rimasti sconosciuti o persi. Con mio fratello Stefano abbiamo fondato un’etichetta, Rarovideo, che ha avuto anche un’eco mondiale, fummo i primi a pubblicare l’opera omnia di Andy Warhol. Abbiamo anche una piattaforma thefilmclub.it, dove abbiamo una sezione dedicata ai film rari. L’altra cosa che mi piace molto è curiosare con il mio team nel mondo della produzione, distribuzione e fruizione dei contenuti nelle piattaforme digitali in Italia e nel mondo. La creatività che ognuno di noi ha intrinsecamente, è l’altro aspetto, che va a braccetto con la parte imprenditoriale. Si riesce a produrre film o documentari veramente belli in cui ci mettiamo cuore, energia e talento. È un lavoro creativo e gratificante. Senti di fare qualcosa di importante anche per gli altri, ha tante facce questo mestiere”.
Come è cambiato il modo di fare cinema?
“Al di là della tecnologia che si utilizza oggi, rispetto al passato, c’è anche una differenza di scrittura e impostazione della produzione, proprio in virtù delle nuove tecnologie che permettono di fare scene in minor tempo e meglio. La tecnologia non solo ha migliorato, diversificandola, la tipologia di riprese, ma si può pensare a una sceneggiatura anche più in grande. Con le risorse medie che gli italiani riescono a mettere insieme, si producono ottimi film che hanno successo anche a livello internazionale. Oltre la fruizione standard nei cinema e nelle sale, il cinema italiano è visibile anche sulle piattaforme digitali e quindi arriva in ogni angolo del mondo. I cambiamenti essenziali sono nelle modalità di pensare un film, una serie o un documentario, ma anche nella distribuzione”.
A livello europeo e mondiale, come si classifica il cinema italiano?
“Storicamente, siamo al secondo posto dietro agli Stati Uniti, dal dopoguerra fino agli anni ’80 c’era l’inarrivabile cinema americano e poi tra i film non in lingua inglese, noi eravamo i primi. Ancora oggi siamo quelli che hanno vinto il maggior numero di Oscar per il miglior film straniero. Dagli anni ’90 in poi lo scenario si è un po’ modificato con la crescita di altre cinematografie: quella sudamericana, giapponese, spagnola, nordeuropea, negli ultimi anni anche quelle russe e cinesi hanno fatto dei passi da giganti. Sorrentino, Garrone, Bellocchio e Moretti… sono solo alcuni nomi, ma è sotto gli occhi di tutti. A livello mondiale il cinema italiano è molto rispettato, ha dei picchi di qualità altissimi. I nostri classici sono sempre molto richieste, ma anche le serie sono viste e rispettate in tutto il mondo”.
Gli attori, come accade per molti altri artisti, spesso non vengono considerati dei veri e propri lavoratori. È realmente così?
“Quando ero piccolo mia madre mi raccontava che molte persone quando le chiedevano che lavoro facesse e rispondeva l’attrice, puntualmente domandavano quale fosse il suo vero lavoro. Quello dell’attore è un vero mestiere e deve essere fatto bene: si può imparare studiando in una scuola di recitazione, o puoi avere un talento naturale. Ma è un mestiere, importantissimo, difficilissimo, per mantenerlo devi studiare e applicarti con rigore, disciplina e sacrificio, è complicato perché puoi lavorare e guadagnare molto. Ci sono situazioni, anche per motivi incomprensibili, in cui la carriera si interrompe. Sei sempre in attesa di una telefonata che dica: «Ho una parte per te» o «Vieni a fare un provino». Ci vuole una forza mentale devastante per fare l’attore o l’attrice. È un mestiere bello, nobile, di super serie A”.